Sono nato a Sanremo, città dove ho vissuto fino a 17 anni; poi la passione per il basket mi ha portato a Reggio Calabria ingaggiato dalla squadra che allora giocava in serie A2 e presto sarebbe stata promossa in A1, massima espressione del campionato italiano. Inizia così la mia carriera professionistica nella pallacanestro che mi ha permesso di girare molto, cambiando spesso squadra e città: una specie di zingaro del basket! All’inizio degli anni ’90 arrivo in Toscana dove gioco per molti anni ad alti livelli nella squadra di Lucca, che diventa la mia città.
Qui inizio a coltivare il mio interesse per lo yoga. Non avrei mai pensato che sarebbe diventato il mio lavoro, lo studiavo perché mi piaceva, perché sentivo che mi faceva star bene, perché a volte mi capitava di essere felice senza nessun motivo particolare e che spesso quest’illogica allegria, estranea a quello che mi accadeva nella vita, emergeva dopo una lezione particolarmente profonda: lo yoga, senza che ne sapessi ancora le ragioni, poteva cambiare il mio stato d’animo.
Lo yoga per diverso tempo resta al margine della mia vita, solo dopo molti anni ho compreso che la pratica, se è profonda, consapevole e seria, agisce sul sistema nervoso e sulla postura che influisce sul nostro modo di vedere e di sperimentare la realtà.
Nello stesso periodo si accende un’altra passione, il teatro, un altro modo per esplorare ed imparare ad usare il mio corpo in modo diverso.
Recitare, scrivere testi e seguire seminari – ricordo in particolare quello con Nicolay Karpov – diventa una grande passione che mi accende una crisi interna che porta, dopo essere stato ingaggiato dal Teatro del Carretto per l’allestimento delle Troiane di Sofocle, a dover scegliere tra la carriera di attore teatrale e la pallacanestro.
Teatro e basket hanno diversi punti in comune ogni volta che giochi o reciti devi misurarti con te stesso e con le persone che sono venute a vederti.
Scelgo di continuare a giocare, anche se in qualche modo mi sentivo già lontano dal basket infatti dopo due anni concludo la mia carriera.
Nel 1999, dopo una parentesi imprenditoriale nel settore della ristorazione, decido di fare un viaggio da solo, lontano, per trovare me stesso.
Vado prima a Londra e poi in Messico dove rimango per tre mesi.
Succedono molte cose qui ma, un episodio in particolare mi colpisce, una specie di visione felliniana: una spiaggia isolata, una laguna sotto Acapulco, una tenda rossa, sola in mezzo alla spiaggia e dieci di donne che praticano yoga.
In quel momento ho avuto chiaro quello che avrei fatto al ritorno in Italia: volevo insegnare yoga.